Sull’iniziativa della mia amica Samanta Marenda che ha organizzato un concerto di beneficenza a favore dei ragazzi immigrati minorenni della Cooperativa Civico Zero, ho avuto l’opportunità di guidare un cerchio di Pittura Intuitiva per le giovani donne che frequentano il centro ed è stata un esperienza di profondo insegnamento .

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La scelta del titolo del laboratorio “Il Bello che c’è in noi” voleva essere un invito ad utilizzare lo specchio della pittura per guardare le risorse presenti in ognuna ed esercitare la consapevolezza come possibilità di introspezione, riflessione e restituzione, lasciando emergere le emozioni del qui ed ora nel modo più libero possibile.

Erano tutte giovani donne, tra i 15 e i 18 anni, che hanno dovuto separarsi dalle loro terre d’origine in modo traumatico, subendo un “viaggio” che le ha profondamente trasformate o ancora, ricongiungendosi in Italia con dei genitori poco vissuti. Le ragazze immigrate, in grande minoranza a Civico Zero, vengono dalla Somalia, dall’Eritrea, dalla Colombia e dall’Albania, alcune di loro provengono dall’esperienza della Libia, con tutta la violenza che implica. Sono ragazze che non si concedono mai un momento per loro stessi, proprio perché tutto ciò che fanno deve essere “utile” e finalizzato all’integrazione: sono occupate a cercare un lavoro, a studiare la lingua italiana o ad inserirsi nella scuola italiana. Poco spazio per altro, e sopratutto per un attività non esplicitamente collegata al loro percorso. Per queste ragioni, il mio approccio è stato volutamente dolce, sottile e profondo, rispetto dei tempi di ognuna: la creazione di una possibilità nuova, un invito a creare e condividere uno spazio di complicità al femminile, senza nessuna altra finalità che lo stare insieme, attraverso un attività libera come la pittura intuitiva.

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Avevo allestito lo spazio come un accampamento nomade con grandi teli colorati e cuscini con al centro una sorta di fuoco, una candela, per echeggiare qualcosa dello spazio femminile tribale presente in ogni cultura. Il caso ha voluto che fosse anche Luna Piena. Appena si sono sedute, gli ho versato il tè, in silenzio. Più cura e amore mettevo nei piccoli gesti, e più sarebbe stato possibile aprire uno spazio di fiducia, lì dove in generale c’è diffidenza e chiusura protettiva.

Da parte mia era necessario esprimere che non aspettavo niente da loro. E proporre il processo creativo come un processo di contatto, non come una prestazione tecnica, ma come uno spazio di costruzione spontanea. Era una situazione molto nuova per loro, quella di ritrovarsi in uno spazio guidato, ma senza obiettivi particolari, senno quello di aiutarle ad entrare nella Presenza e a vivere insieme un esperienza di crescita. Da parte mia, sentivo l’importanza di accogliere, di rispettare i tempi di apertura di ognuna, senza forzare niente, lasciando che lo spazio prenda forma da solo, modellandosi organicamente in funzione delle personalità partecipanti.

Li ho fatto chiudere gli occhi, le mani sul cuore. Una rideva, un’altra aveva le lacrime agli occhi, un’altra ancora era totalmente immersa nel suo mondo, ognuna esprimeva le proprie aperture e resistenze. Diverse nelle loro reazioni, diverse le loro storie, ma simile il bisogno di non prevaricare. Poi con l’aiuto della musica, siamo entrate in contatto con la materialità della pittura, prima con le mani, poi ad occhi chiusi e poi con i pennelli e tutti i strumenti. Osservavo come queste semplici suggestioni li aiutavano ad Esplorarsi Esplorando la materia,   scegliendo d’istinto colori e strumenti, contattando esperienze dolorose e poi coprendole con altri colori… ognuna immersa nel proprio processo personale, senza parola, ma con il cuore e le mani. Il dipinto come specchio e la mia guida come contenitore flessibile, sottile e rispettoso per lasciare spazio alla naturalezza del processo e valorizzare le risorse che emergevano.

Tramite il potere dei colori e del segno, avevano così accesso ad un mondo interiore, ad uno spazio di intimità, non filtrato dalle parole e dalle aspettative altrui, ma aperto all’emergenza di simboli e di nuove comprensioni.

I simboli dipinti erano significativi, parlavano di guarigione e di trasformazione: la luna, la pioggia, l’abito di nozze, l’orologio, il proprio nome, il tao del bene e del male, gli uccelli sopra la barca nel mare… tutti a rispecchiare una psiche al lavoro, in piena elaborazione dei distacchi e traumi, ma anche a parlare dei loro desideri di adesso.

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Chi verbalizza di più le proprie emozioni e messaggi, chi era totalmente immersa nel flusso creativo, assorta nel potere di guarigione del colore. Ad un certo momento, ho proposto un partnerwork a coppia, per ammorbidire i confini tra loro e darle la possibilità di dialogare a due senza parola, attraverso la cura dell’altra, il rispetto, nel gesto e nel colore, oltre la barriera culturale, la diversità e la timidezza. E’ stato straordinario osservare il gioco di specchio che si è creato nelle coppie: una coppia di donne somale si sono entrambi regalate “del tempo”, disegnando sul dipinto dell’altra un orologio; una coppia mista tra una ragazza eritrea e una ragazza colombiana ha iniziato a scambiare complimenti e motti di stima in silenzio, scrivendo con il pennello sul dipinto dell’altra, come a sigillare un patto di amicizia.

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Questo laboratorio ha aperto uno spazio di possibilità, ha piantato un seme di consapevolezza nei loro cuori:   l’esperienza della condivisione senza giudizio ha permesso di rafforzare i legami tra ragazze, fuori dal clan familiare e culturale, allargando i loro confini in modo dolce e rispettoso. Infatti il rispetto crea valore e si è rivelato una chiave del processo di ricostruzione individuale e collettiva: rispetto fisico, rispetto dei tempi, rispetto della diversità, rispetto del silenzio, rispetto della storia di ognuna, non invadenza, accoglienza emotiva.

Abbiamo praticato le qualità del Cerchio: in un cerchio, si può stare da sola e insieme, in intimità e in condivisione, allenando la nostra capacità di imparare dalle altre, di donare e di ricevere e di creare un nuovo senso di appartenenza. E’ la bellezza del cerchio, e per le ragazze immigrate, credo sia una via molto valida per far emergere contenuti dolorosi in un modalità protetta, accogliente ed amorevole. Alla fine ho consegnato al gruppo una teiera, simbolo del cerchio e della complicità femminile. Alla fine molte ragazze hanno detto di portarsi via ” una possibilità”, ” il potere delle donne insieme”, “l’amicizia”.

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Sono emersi in filigrana vari temi critici e dinamiche dolorose: la famiglia, come realtà problematica, che sia lontana e perduta, o nel caso delle ragazze ricongiunte, la difficoltà di ritrovarsi con dei genitori mai conosciuti, con lingue diverse dai fratelli, con un senso di estraneità all’interno del proprio clan; il tema dell’esclusione; il tema della tristezza rispetto alla vita, con una ragazza proveniente dall’esperienza di violenza libica, che riportava queste parole ” la vita è così difficile, come fanno gli uccelli a tornare, quando non hanno un posto dove tornare?” .

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In conclusione, vorrei fare emergere questi tre aspetti:

– un’ ATTIVITA’ ESPRESSIVA libera e continuativa, sopratutto nel caso di ragazze immigrate che hanno vissuto il trauma di un’interruzione, ha la capacità di creare un terreno di fiducia e di apertura creativa ed emotiva propizio ad accogliere e far emergere spontaneamente i vissuti dolorosi, spesso “rimossi” o nascosti in profondità.

– fare del CERCHIO una buona “abitudine”, una pratica integrata, un rituale di condivisione dove le ragazze possono praticare l’arte dell’interazione (l’espressione verbale e non-verbale) ed allenarsi alla CONSAPEVOLEZZA, come potente risorsa di guarigione, evoluzione e costruzione della loro identità in cambiamento.

uno SPAZIO AL FEMMINILE esclusivamente offre un senso di protezione che permette l’apertura e la condivisione di vissuti emotivi collegati anche alla questione del genere e alla violenza sessuale. Per questo, ho scelto di donarli tre simboli: una teiera per il Cerchio ( di cui la donna albanese ha scelto di diventare custode), dei semi di quadrifoglio (come augurio di fortuna per il futuro) e una candela ( come immagine della luce della consapevolezza ). All’interno di questo spazio riservato e femminile diventa più sicuro e facile SVILUPPARE NUOVI LEGAMI COSTRUTTIVI con ragazze che provengono da culture diverse, e in questo modo allenarsi all’apertura culturale e all’inserzione.

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Ringraziamenti:

Ringrazio Costanza, la psicologa della struttura, con la quale c’è stato un dialogo continuo e cui presenza, e la fiducia che ispira, è stata preziosa e benefica per tutto il processo. Ringrazio Laura, Valentina e Rudy per la collaborazione e il loro meraviglioso lavoro a Civico Zero. Un grazie speciale alla mia amica Samanta e a tutti gli amici che hanno contributo a rendere possibile questo cerchio al femminile.

Qui potete seguire e supportare le iniziative di Civico Zero

 

 

 

 

 

 

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